
Siamo nel 2025, eppure in alcuni luoghi si ripetono ancora riti risalenti al Medioevo per invocare protezione contro lupi e orsi, considerati una minaccia per le comunità locali. Cerimonie che affondano le radici in un passato in cui la paura del predatore era alimentata dalla mancanza di conoscenze scientifiche e da credenze popolari. Oggi, nonostante i progressi nella comprensione del comportamento di questi animali, tali pratiche continuano a generare allarmismo e a influenzare il dibattito pubblico.
Proprio per questo, è fondamentale che l’informazione su questi temi sia rigorosa e basata su dati verificati. Troppo spesso, articoli e notizie sui lupi vengono diffusi senza un’adeguata verifica delle fonti, alimentando paure infondate e contribuendo a una narrazione distorta.
Con questa lettera aperta, promossa da Daniela Stabile (attivista animalista), sottoscritta anche da Antonio Iannibelli (fotografo naturalista, G.E.V., studioso di Lupi), Francesco De Giorgio (etologo), Stefano Deliperi (Gruppo d’Intervento Giuridico – GrIG), si chiede ai giornalisti di affrontare l’argomento con responsabilità, consultando esperti e riportando i fatti con precisione, per evitare che disinformazione e sensazionalismo compromettano una discussione fondata su basi reali.
LETTERA APERTA
Gentilissimi tutti, con la presente, in qualità di esperti e cittadini impegnati da tempo per un corretto rapporto fra fauna selvatica e attività umane, desideriamo proporre elementi di necessaria considerazione perché sia fornita all’opinione pubblica un’equilibrata e obiettiva informazione sul lupo scevra da sensazionalismi ed elementi privi di riscontro scientifico.
Negli ultimi anni, la comunicazione messa in atto da molti giornalisti si è dimostrata totalmente priva di nozioni scientifiche, e al contempo colma di inesattezze, nonché di notizie non corrispondenti al vero, basti vedere gli innumerevoli articoli nei quali si parla di fantomatiche reintroduzioni del lupo, quando in realtà, la sua espansione è frutto solo ed esclusivamente di dinamiche naturali, o ai tantissimi casi di cani lupi cecoslovacchi che vengono puntualmente spacciati per lupi, o ai tanti testi filo-allarmistici corredati da titoloni a lettere cubitali “Allarme lupi”, “ALLARME! Lupi avvistati in zone urbane, LA GENTE HA PAURA”, e così via.

Crediamo fermamente che ci sia bisogno di una comunicazione basata sulla consapevolezza e sul rispetto, sia nei confronti di un animale selvatico che è un componente fondamentali per l’equilibrio ecosistemico, e sia nei confronti degli utenti che invece di imparare, ricevono e assorbono questi scritti in maniera totalmente sbagliata e nociva, l’immagine che viene percepita dalla collettività è unicamente quella insana del lupo cattivo e non per quello che è realmente, un predatore sì ma che, se lasciato in pace, non rappresenta alcun pericolo verso l’ essere umano, in quanto quest’ ultimo non è concepito dal lupo come una possibile preda.
Negli ultimi tempi assistiamo a una crescente diffusione di notizie allarmistiche sui lupi, spesso prive di un reale fondamento scientifico e basate su episodi decontestualizzati. Titoli sensazionalistici e immagini di lupi avvistati vicino ai centri abitati generano paure infondate tra i cittadini, contribuendo a una percezione distorta della realtà.
I lupi, come confermato da studi scientifici e dagli enti di tutela della fauna, non rappresentano un pericolo per l’uomo. Sono animali schivi, il cui ritorno nei nostri territori è segno di un ecosistema più sano. L’aumento degli avvistamenti è dovuto, oltre alla maggiore disponibilità di cibo, anche alla diffusione di fototrappole, videocamere di sorveglianza e smartphone, che permettono di documentare situazioni che in passato passavano inosservate.

Inoltre, il disturbo causato da alcune attività umane – come la caccia, il taglio indiscriminato dei boschi, la frammentazione degli habitat e il consumo di suolo – li costringe sempre più spesso a uscire allo scoperto e ad avvicinarsi ai centri abitati.
Partecipare agli eventi organizzati da esperti, associazioni di volontari, guardie ecologiche e polizia locale addetta alla fauna selvatica aiuta a conoscere meglio la biologia del lupo. Ad esempio, un aumento degli avvistamenti si registra nei primi mesi dell’anno, quando i giovani lupi in dispersione, non trovando un territorio libero, si avvicinano temporaneamente alle attività umane.
Questa fase è naturale e transitoria: come arriva un giovane lupo, così se ne andrà, talvolta nello stesso giorno o nel giro di poche settimane. Per questo motivo, invitiamo gli addetti stampa e i giornalisti a consultare esperti locali o nazionali di fauna selvatica prima di pubblicare notizie allarmistiche. Questi professionisti saranno lieti di fornire informazioni corrette, consentendo di realizzare articoli basati su dati scientifici.

Chi legge saprà apprezzare nel tempo un’informazione responsabile e affidabile. La protezione dell’ambiente, e quindi anche dei lupi, dipende molto dalla qualità dell’informazione diffusa dai giornali, dai siti web, dai social e da tutti i media. Attenersi ai fatti e rispettare l’articolo 9 della Costituzione italiana, che sancisce la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, non è solo un dovere professionale, ma un atto di responsabilità verso le future generazioni.
Chiediamo ai media e ai politici di trattare l’argomento con maggiore attenzione, consultando esperti e diffondendo informazioni corrette. Creare allarmismo non solo danneggia la percezione di questa specie protetta, ma alimenta tensioni inutili tra cittadini e istituzioni.
Antonio Iannibelli, fotografo naturalista, guardia ecologica volontaria, studioso di lupi.

La paura del selvatico, in questo caso del lupo, non è biologica, ma culturale. Ovvero non appartiene alla nostra storia bio-evolutiva di animali umani, ma da una cultura oscurantista lunga secoli se non millenni, che oggi è il caso di lasciare all’oblio del tempo.
Diversamente da quanto narrato infatti, i nostri antenati preistorici non vivevano nella paura, ma nell’animalità, cioè avevano piena conoscenza del mondo naturale. Noi a quel modo di percepire e vivere il mondo dobbiamo, anzi abbiamo l’obbligo etico, di riferirci. Per questo la conoscenza dei lupi, ma anche di altri selvatici, dovrebbe essere quasi scuola dell’obbligo. Invece delle inutili ore di religione o educazione fisica, andrebbero introdotte nelle scuole ore di educazione all’animalità.
In questo senso anche i media possono, devono, fare la loro parte, evitando di seminare terrore antiscientifico, ma invece spronando a conoscere, ad usare un ragionamento scientifico, a tornare ad una logica animale che noi tutti possediamo dalla nascita, ma che ignoriamo, dimentichiamo, neghiamo. I lupi rappresentano un valore, soprattutto in questi tempi oscuri, un valore per l’ambiente, per la biodiversità, per la società.

Francesco De Giorgio. Etologo antispecista. Presidente di Sparta Riserva dell’Animalità
Per tutti i motivi sopra riportati, riteniamo che sia di fondamentale importanza, soprattutto in un momento così critico e nefasto per la fauna selvatica, che i giornalisti si avvalgano di quel principio fondamentale chiamato etica, e che si adoperino in una comunicazione sana ed equilibrata, come deontologia comanda, onde evitare allarmismo, isteria collettiva e gente che si sentirà legittimata ad agire con metodi subdoli e irrispettosi delle leggi vigenti.
“Il Lupo (Canis lupus) è tutelato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 12 della Direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e seminaturali, la fauna e la flora, rientrando negli allegati II e IV, lettera a) ed è specie particolarmente protetta ai sensi dell’art. 2 della legge n. 157/1992 e s.m.i.

È inoltre, tutelato in quanto presente nell’Allegato II della Convenzione internazionale relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa (Berna, 19 settembre 1979), esecutiva in Italia con la legge n. 503/1981. L’uccisione di un esemplare di Lupo è sanzionata penalmente dall’art. 30 della legge n. 157/1992 e s.m.i., in caso di uccisione da parte di soggetto privo di autorizzazione alla caccia può integrare anche il reato di cui all’art. 625 c.p. (furto aggravato ai danni dello Stato).
La diffusione di notizie false o tendenziose riguardo il Lupo può integrare gli estremi dell’art. 656 c.p., mentre il procurato allarme può integrare gli estremi dell’art. 658 c.p.
Stefano Deliperi. Gruppo d’Intervento Giuridico Onlus. Associazione ambientalista
Ultimamente, affrontare serenamente il tema legato alla tutela della Natura, sembra essere un’impresa davvero ardua; ci si siede un attimo, si accede ai social con la speranza di estraniarsi da tutte le notizie nefaste inerenti alle guerre, ai femminicidi, alla criminalità che ormai ha raggiunto livelli inenarrabili, agli innumerevoli fatti di cronaca nera che purtroppo vedono coinvolti tantissimi bambini, e ci si trova, invece, a essere letteralmente bombardati da articoli sul lupo, un continuo martellamento che ha la funzione di una vera e propria coercizione cognitiva, lupi descritti come demoni enormi e cattivi, lupi onnipresenti e famelici, lupi, e ancora lupi…

Essendo un’assidua frequentatrice di boschi, sinceramente, non ho mai riscontrato pericolosità negli animali selvatici, fortunatamente, la comunicazione fuorviante messa in atto da molte testate giornalistiche, non mi ha portata a rinunciare alla mia passione…
Oggi come oggi, in un mondo reale davvero violento, è necessario che ogni testata giornalistica si esprima in rispetto di tutti gli utenti che, come me, desiderano essere informati in maniera corretta, e non resi “schiavi” di paure ataviche e ingiustificate.
Credo fermamente che sia doveroso, da parte di chi gestisce le testate giornalistiche sui social, intervenire tempestivamente onde alienare e condannare i commenti di tutti coloro che istighino al bracconaggio, o che, in qualche maniera usino un linguaggio offensivo e irrispettoso, anche queste sono forme di violenza a tutti gli effetti che vengono percepite e assorbite da tanti minorenni lasciati, troppo spesso, da soli davanti a un cellulare o a un PC che sia, c’è davvero bisogno di una comunicazione costruttiva e istruttiva, la prepotenza e sopraffazione non devono essere tollerabili.
Viva il lupo!

Daniela Stabile. Attivista/volontaria ma prima di tutto un’utente che respinge fortemente gli attacchi incessanti alla propria mente, e al lupo.
Con la speranza che si possa intraprendere un cammino davvero istruttivo, e certi di un’ampia collaborazione da parte dei signori giornalisti affinché il lupo, la fauna selvatica, e gli stessi esseri umani, smettano di essere strumentalizzati, porgiamo i nostri più cordiali saluti.
Francesco De Giorgio
Daniela Stabile
Stefano Deliperi
Antonio Iannibelli (ITALIAN WILD WOLF)
UN PERSONALE ESEMPIO PER CIO’ DETTO!
A Chignolo, frazione di Oneta, in valle del Riso, i lupi hanno attaccato domenica, in pieno giorno, gli animali custoditi, a poche centinaia di metri da un’azienda che alleva ovicaprini e una trentina di vacche da latte. La comunicazione è arrivata dalle associazioni Pastoralismo Alpino. Tutela Rurale e il Comitato Valseriana-tutela persone e animali dai lupi. Secondo le tre associazioni i lupi sono poi tornati nella scorsa nottata, tra lunedì 11 e martedì 12 dicembre: il risultato è la morte di due capre, il ferimento di due capre, per le quali non si sa ancora se esista una possibilità di recupero.
“Va precisato che le reti utilizzate sono quelle “alte”, dichiarate “anti-lupo” dai servizi regionali. Gli allevatori sostengono da tempo che queste reti che, secondo gli amici dei lupi (e le istituzioni) dovrebbero difendere efficacemente gli animali, servono a ben poco perché il lupo le salta in scioltezza -spiegano le associazioni in una nota-. L’episodio rappresenta l’ennesima conferma dell’espansione del lupo in Val Seriana.

Oltre ai casi dell’alta valle se ne aggiungono altri che indicano una rapida discesa dei predatori verso la media valle. Veronica Borlini, la giovane allevatrice vittima della predazione, riferisce che anche lo zio ha già subito dei danni a Gorno sul monte Grem. Come Comitato per la tutela delle persone e degli animali dal lupo non possiamo non stigmatizzare la persistente tendenza a minimizzare il problema della presenza del lupo da parte delle istituzioni, in primis della Polizia provinciale che a lungo ha negato che fossero avvistati i lupi. Per discutere della situazione e delle iniziative da intraprendere in tema di lupi, si terrà, alla presenza di alcuni esponenti della Regione Lombardia, un convegno ad Ardesio il 26 gennaio”.
In Val Seriana il 2023 sarà ricordato come quello del ritorno ufficiale del lupo nel territorio. In particolare, l’ultima segnalazione è quella della fine di ottobre, quando furono visti, grazie alle fototrappole della Polizia provinciale, 4 piccoli lupi, figli della coppia avvistata a Gandellino all’incirca un anno fa. Si è trattato così del primo branco accertato dalle forze dell’ordine provinciali.
(Voci dei e nei locali)

Aggiorno la presente, come da Lettera sopra riportata; tutto ciò detto circa un presunto ritorno del Lupo non è stato accertato; accertato [personalmente, e so bene ciò che dico!] invece un uso fraudolento per altri “fini” circa i veri lupi mascherati da agnelli riparati in folti boschi, affinché Nessuno ne goda il benefico beneficio di un altrettanto uso ed abuso di vaste aree su cui esercitano un diritto del tutto feudale; festeggiare ed officiare strani riti ‘pasquali’, in quanto lo Stato e gli enti competenti, del tutto esclusi da un controllo preventivo circa ogni Dottrina e il corretto esercizio della stessa!
Lo Stato è solito assentarsi astenersi, ed infine adeguarsi, ‘gettando la spugna con soave antica dignità’, giacché essendo invisibile il nemico è consigliato procedere con insana dovuta cautela…
Onde evitare strani malefici!
…Soprattutto quando un aspetto atipico d’‘esercizio’ di consumo ed abuso per ogni Ecosistema il quale non sia demandato alle incompetenze (o meglio che dico!? agli interessi privati e recintati della propria personale ‘pecunia’ di nuovo pascolata; sembrano non siano concesse neppure solitarie transumanze di altre specie… sopravvissute…) di un Ministro di Stato (??); non lontano e simmetrico dalle isole ove regna un antico fenomeno associativo (ed hora confinato nel vasto regno del più fitto mistero) nel quale la specie sopra detta vuole mantenere il controllo fraudolento del territorio, certamente per non estinguere l’arte del predatore; il quale predatore tende a ricomporre quella mentalità ove s’annida, non solo un pensiero distorto e malsano, ma un deviato Stato ad uso e consumo continuato, per chi non comprendendo una diversa Ragione, ove regna Diritto per ogni specie vivente, tende a perseguire non il colpevole, ma la vittima dell’abominio per il vero Diritto circa la pari opportunità di sopravvivenza.
Gli esempi in merito certamente non mancano!
Sì!

Di lupi transitati pascolati ed allevati ne abbiamo incontrati in abbondanza, ma non sono della specie che per sempre nobilita l’uomo con la sua presenza; seppure un predatore della pecunia ben recintata come coltivata la quale viene nominata abusivamente Economia, da chi avidamente non comprende quanto il progresso ne difetta in una insano illecito ‘allevamento’ abusandone a tempo pieno; dacché la vera e più sana Economia per ogni Bosco e la zanna che lo aggredisce o vorrebbe, risiede su di una Lingua sfalsata e privata dei valori su cui poter contemplarne e raccogliere i ‘frutti’ del Linguaggio, giacché preferiamo un diverso pasto non abusando di nessun macellaio….
Giacché preferiamo e difendiamo l’ululato di Ogni specie che ci richiama da una Ragione troppo antica per essere in ogni Regno profanata da una bestia!
Insani esseri i quali si adattano alla perfezione a quelle antiche credenze di cui ne fanno un paradossale abuso, il quale abuso inevitabilmente ricade sul difettevole disuso di Memoria collettiva e la Storia interpretativa, di cui ne abbiamo e ne avremmo ancora un esempio per ogni Macellaio assiso alla propria ‘insegna’; ‘insegna’ ad ogni crocevia con suddetta specie, ne rinnovano la paura di comprenderne la lingua avidamente esposta a repentaglio della Ragione d’ognuno; e non solo quando la luna piena e colma delle loro strane dicerie lanciate come proiettili fino ai Campi di Marte, nel confermare la loro arte in nome e per conto del Raggiro di corte, ove ogni bottegaio, un più onesto bottegaio, richiama l’araldo di più certa appartenenza; e la povera Democrazia comprensiva d’ogni suo commercio, seviziata come un agnello su di una tavola fin troppo colma… di pascolata idiozia…
Sì!

Li abbiamo visti e ancora e purtroppo dovremmo vedere nonché udire: aggredire ogni Democrazia vestiti come lupi mannari, e se mi è permessa una definizione antica circa una più probabile loro descrizione in onore degli Dèi, questa sicuramente rende bene ciò che avvenne su di una Collina da qui fino ad una lontana America anch’essa appoggiata su di un su un più alto monte, almeno così dicono…
L’esperto Severo moderava con la sua saggia tranquillità quella foga giovanile, e pur lasciando al Cesare una certa libertà, non abbandonava il comando supremo dell’esercito. Fischiarono le frecce; volarono le grosse aste barbariche trattenute da lunghe corde; le balestre proiettarono i grossi sassi. Finalmente i Romani si trovavano faccia a faccia con quei terribili e misteriosi uomini del Nord, che abitavano le buie foreste del Reno, e di cui si raccontavano leggende inverosimili.
Costoro erano armati in modo mostruoso: alcuni portavano un paelle d’orso sull’enorme schiena, e sulla testa capelluta, a guisa d’elmo, il bianco teschio di qualche animale; altri portavano sugli elmi corna di cervi e di buoi; gli Alemanni, poi, disprezzavano a tal segno la morte, che si lanciavano nel fitto della pugna affatto nudi, armati soltanto di spada o di lancia.
I loro capelli rossi, annodati in cima al capo, ricadevano sulla nuca in grosse ciocche rassomiglianti a una criniera, e i lunghi baffi albini pendevano ai due lati delle labbra, dando al loro viso scuro un aspetto strano. Molti erano ancora così selvaggi, che ignoravano l’uso del ferro, e combattevano con un’asta che portava sulla punta reste di pesce intinte in un veleno mortale, più micidiale del ferro; difatti, solo una piccola puntura di quelle tremende lance bastava per far morire lentamente, fra spasimi atroci.
Altri erano coperti da capo a piedi di scaglie di zoccolo equino, cucite su pezze di lino. Così quei barbari sconosciuti rassomigliavano a mostri dalle piume d’uccello e dalle squame di pesce.
V’erano anche Sassoni, dagli occhi. glauchi, che nessun mare spaventava, ma la terra atterriva; Sicambri, che si recidevano le chiome in segno di lutto dopo una disfatta; v’erano Eruli, le pupille dei quali avevano quasi il color glauco dell’oceano che bagnava i loro golfi lontani; Burgundi, e Batavi, e Sàrmati, e altri ancora, uomini favolosi, senza nome, i cui volti orribili i Romani vedevano per la prima volta nell’ora vicina alla morte.
(La morte degli Dèi)

Ciò è stato da me accertato, dacché e purtroppo il Lupo tende a creare un certo atipico turismo di massa, il quale nulla ha da condividere con la Natura, ma più confacente con taluni aspetti della sua psicologia. Così immaginarsi un Lupo e costruire, o meglio che dico!?, edificare falsa deleteria ‘pecunia’ ben pascolata anche al di fuori del recinto d’ogni allevatore il quale tende a reclamare e pretendere falsi Diritti di risarcimento per il danno arrecato; ovviando, e in qual tempo, in maniera del tutto fraudolenta, altri e più penosi problemi ambientali di cui contribuisce a tempo pieno a declassificarli; così sviando il vero problema dell’Ecosistema il quale trova e benefica di un nuovo ed antico capro espiatorio.
Con la presente vi ringrazio del vostro valido contributo!
(Giuliano)
IL CAPRO ESPIATORIO
Secondo la tradizione del capro espiatorio, il lato malvagio o inferiore dell’uomo può essere trasferito da lui a un animale. In questo processo di rimozione della malattia o del peccato, lo spirito cattivo viene espulso dall’essere umano ed entra nella forma di qualche bestia. In India l’animale da fuga può essere un maiale, un bufalo, una capra o un gallo nero.
Gli ebrei avevano l’usanza di portare un capro alla porta del Tabernacolo e il sommo sacerdote caricava i peccati del popolo sull’animale, mandandolo poi via con il suo carico nel deserto.
In Tibet un capro espiatorio umano, vestito di pelle di capra, viene cacciato dalla comunità non appena la gente ha confessato i propri peccati, e ricchi Mori tengono un cinghiale nelle loro stalle affinché vi ‘entri’ lo spirito maligno cosicché i loro cavalli immuni dal suo attacco.
Nel luglio 1603, nel distretto di Douvres e Jeurre cadde una grande tempesta di grandine che danneggiò tutti gli alberi da frutto e furono visti tre lupi misteriosi. Non avevano coda e passarono innocui attraverso un gregge di mucche e capre, senza toccarne nessuna tranne un capretto, che uno dei lupi portò lontano senza ferirlo in alcun modo. Questa condotta innaturale rendeva abbastanza evidente che questi non erano veri lupi, ma stregoni che avevano provocato la tempesta di grandine e desideravano visitare la scena del disastro. Si diceva che il lupo più grande che guidava il branco doveva essere lui stesso il potente malvagio.

Nel Poitou i contadini hanno una curiosa espressione, ‘courir la galipote’, che significa trasformarsi di notte in un lupo mannaro o in un altro animale umano e inseguire la preda attraverso i boschi. Il galipote è il famiglio o folletto che lo stregone ha il potere di inviare.
Nei secoli oscuri gli stregoni capaci di questo compimento venivano trattati secondo la legge, e centinaia venivano processati per aver praticato arti oscure, essendo condannati, nella maggior parte dei casi, ad essere bruciati vivi o squartatai sulla ruota. Uno dei casi storici più noti fu quello di Pierre Bourgot, il diavolo in persona che per due anni fu processato e torturato dall’inquisitore generale Boin.
Una storia straordinaria su un lupo mannaro viene da Ansbach nel 1685:
Si diceva che la presunta incarnazione di un borgomastro morto di quella città rapisse uomini donne ed infanti in un borgo vicino sotto forma di lupo, divorando con essi il bestiame. Alla fine la bestia feroce fu catturata e sgozzata, e la sua carcassa fu avvolta in un abito di tela di cera color carne, mentre la sua testa e il suo viso furono adornati con una parrucca color castagna e una lunga barba bianca, dopo che il muso dell’animale era stata tagliato e sostituito con una maschera che ricordava i lineamenti del borgomastro morto.

Questa effige fu impiccata, la sua pelle imbottita e messa in un museo, dove fu additata come prova dell’effettiva esistenza dei lupi mannari.
Questo incidente sembra dimostrare che la credenza nei lupi mannari non è mai stata definitivamente sradicata, ed è del tutto naturale che un tema che ha avuto un tale credito in tutto il mondo si ripeta ripetutamente nella mitologia e nella letteratura.
Ciò che rende visibile il lupo mannaro è la sovreccitazione quasi sonnambulistica causata dalla paura di chi lo vede, i colpi inferti al lupo mannaro lo feriscono davvero, e per la corrispondenza dell’immateriale con il corpo materiale possono ricondurre il corpo alla sua materia originaria.
Questa particolarità della ferita inflitta al lupo mannaro riproducendosi nell’essere umano è sottolineata da un incidente avvenuto intorno al 1588 in un minuscolo villaggio situato tra le montagne dell’Alvernia: un signore stava guardando una sera dalle finestre del suo castello quando vide passare un cacciatore di sua conoscenza diretto alla caccia. Chiamandolo, lo pregò che al suo ritorno gli riferisse la fortuna che aveva avuto nella caccia. Il cacciatore dopo aver seguito la sua strada fu attaccato da un grosso lupo. Sparò con la pistola senza colpire l’animale. Poi lo colpì con il suo coltello da caccia, recidendo una delle zampe, che raccolse e mise nello zaino. Il lupo ferito corse rapidamente nella foresta. Quando il cacciatore raggiunse il castello raccontò all’amico della sua strana lotta con un lupo, e per sottolineare la sua storia aprì lo zaino.

Il proprietario riconobbe l’anello come di sua moglie, e affrettandosi in cucina per interrogarla la trovò con un braccio nascosto sotto le pieghe di uno scialle. Lo scostò e vide che aveva perso la mano. Poi confessò che era stata lei che, sotto forma di lupo, aveva attaccato il cacciatore.
Fu arrestata e bruciata viva poco dopo a Ryon.
Olao Magno dichiara che sebbene gli abitanti della Prussia, della Livonia e della Lituania, soffrano considerevolmente delle depredazioni dei lupi per quanto riguarda il loro bestiame, le loro perdite non sono così gravi in questi stati come quelle che subiscono per mano dei lupi mannari.
Alla vigilia di Natale moltitudini di lupi mannari si radunano in un certo punto e si uniscono per attaccare esseri umani e animali. Assediano case isolate, sfondano le porte e divorano ogni essere vivente. Irrompono nelle cantine dove viene conservata la birra e lì svuotano le botti, dimostrando così i loro gusti umani. Un castello in rovina vicino a Curlandia sembra essere stato il loro luogo d’incontro preferito, dove migliaia di persone si riuniscono per mettere alla prova la loro agilità. Se qualcuno di loro non riesce a scavalcare le mura del castello, viene ucciso dagli altri, poiché in tal caso sono considerati incompetenti per il lavoro da svolgere.

La paura dell’animale si ricollega a quell’universo di fobie, quasi sempre di natura irrazionale, riconducibile al tema della diversità e che molto spesso ha guidato campagne di persecuzione nei confronti non solo delle altre specie, ma altresì di etnie diverse, di portatori di diversità o semplicemente di persone che non aderivano ai costumi o alle credenze condivise da una particolare comunità.
La diffidenza verso tutto ciò che è diverso – nelle sue articolate accezioni: paura, insofferenza, superstizione, odio – fa sì che con molta facilità l’animale diventi una sorta di capro espiatorio ogni qualvolta un gruppo sociale o etnico si senta minacciato per un qualsivoglia motivo. Il portatore di diversità diventa infatti un elemento che perturba l’equilibrio e la stabilità dell’insieme, ovvero il grado di coesione interna, e questa stessa caratteristica guida le pulsioni a lui rivolte che quasi sempre si presentano improntate su una forte ambiguità.

Il capro espiatorio è esemplificazione dei mali che affliggono una particolare comunità, ma nello stesso tempo è punto di aggregazione dei conflitti e quindi purificatore (salvatore) del gruppo che ne decreta il sacrificio. È evidente il carattere sacrale di questo processo che manifesta un profilo relazionale ambivalente, laddove è presente la pulsione di allontanamento – tramite l’uccisione sacrificale – ma nello stesso tempo di incorporazione, seppur simbolica, del diverso.
Possiamo notare che quanto più chiuso è il gruppo, e conseguentemente forte il concetto di identità, tanto più facilmente si realizza questo rituale.
Nel Medioevo l’animale era il segno che permetteva il complesso di operazioni purificatorie necessarie per far parte della comunità cristiana; il timore dell’animalità era fondato sulla paura di uscire dall’umanità, cioè di contaminarsi ossia di entrare in un territorio ibrido. Sono di questo periodo le più interessanti trattazioni di metamorfosi in animale, rischio a cui andavano incontro coloro che volontariamente o accidentalmente si trovavano in una particolare situazione di isolamento dalla comunità.
Andare a vivere in un bosco, rimanere per lungo tempo solo con animali, trovarsi nella foresta in una notte di luna piena… sono alcune delle più consuete spiegazioni al fenomeno della trasformazione in animale, presente nei miti dei miti dei lupi mannari, degli uomini silvestri, delle donne orso. Licantropia, vampirismo ecc. sono altrettante manifestazioni di questa concezione di animale come inquietante oggetto alla deriva, minaccia in grado di frastornare l’uomo e di fargli perdere le sue caratteristiche spirituali.
L’animalità è perciò un continente misterioso in cui è facile perdersi o naufragare.

Ritroviamo peraltro questo luogo comune un po’ in tutta la tradizione occidentale, a partire dall’Odissea di Omero per finire nel racconto La metamorfosi di Kafka. La zooantropia (ossia la paura di trasformarsi in animale) è presente in gran parte della letteratura moderna che ne ha fatto un cliché, dando vita a diverse tradizioni. Oggi col termine ‘zooantropia’ si intende anche una forma di malattia psicogena dove il soggetto non solo teme di trasformarsi in animale – spesso con forme di atteggiamenti ossessivo-compulsivi che lo portano a lavarsi in continuazione – ma talvolta è persino convinto di essersi mutato in animale e pertanto di doversi comportare di conseguenza.
La paura dell’animale può colpire l’individuo durante il giorno e avere eventi scatenanti nella realtà contingente (un insetto che entra dalla finestra, un cane incontrato durante una passeggiata) oppure può manifestarsi durante il sonno. In questi casi alcune persone arrivano addirittura a non riuscire più a dormire a causa di incubi popolati da animali minacciosi.
Nei racconti fantastici rinveniamo l’animale sia sotto forma concreta, ossia come pieno protagonista della vicenda nei diversi ruoli precedentemente esaminati, sia sotto forma simbolica – a rappresentare o a richiamare particolari significati – o ancora come entità capace di facilitare particolari eventi. Il demone (o, riprendendo il vocabolo greco, daimon) animale è uno spirito che abita le zone di confine, sfuggevole e tenebroso, e si manifesta a tempo debito per punire l’arroganza umana o comunque far comprendere all’uomo i suoi limiti.

La presenza di un daimon animale è sempre stata avvertita con timore dall’uomo, che l’ha immaginata come una figura misteriosa e potente, da pacificare ogni qual volta il patto di amicizia tra il mondo degli uomini e quello degli animali veniva turbato da ‘invasioni territoriali’ come per esempio una battuta di caccia. In molte tradizioni culturali l’attività venatoria o sacrificale ancor oggi dev’essere eseguita da un sacerdote e realizzata con opportune liturgie mirate a non turbare la suscettibilità del dio degli animali o comunque a calmare la sua ira.
Alcune fra le teorie più accreditate, per dare una spiegazione ai graffiti paleolitici che raffigurano scene di caccia, li considerano veri e propri tributi per pacificare la divinità degli animali e scongiurare la sua vendetta. Il daimon animale abita le foreste, le vette dei monti, gli abissi, in altre parole i luoghi più ostili e irraggiungibili; incarnazione dello spirito primigenio, è il legittimo proprietario dei luoghi lussureggianti di vegetazione, il signore delle forze primordiali. E a questo proposito è necessaria una piccola digressione. La forza del daimon animale è riconducibile alle rigogliose energie della natura in termini di fertilità, vigore, istintività, piena capacità di reagire agli scacchi dati dal mondo esterno.

La capacità della natura di riprendere possesso di quanto le è stato tolto dal lavoro dell’uomo – pensiamo al vigore delle piante selvatiche, alla capacità riproduttiva degli invertebrati, alle grandi calamità naturali – rafforza nell’uomo questo senso di religiosità che nasce ovviamente da un sentimento di inferiorità e di precarietà. Il reato di ‘animalicidio’ non solo scatena il senso di colpa – in genere stornato attraverso un vasto repertorio di finzioni, tra cui la cosiddetta ‘commedia dell’innocenza’ – ma soprattutto può scatenare le ire del dio degli animali, di qui il bisogno di una liturgia di pacificazione.
Ma il daimon animale è altresì il regno dei grandi istinti, il luogo della perdita della razionalità, della follia, del panico (parola legata a Pan, dio della natura); questo territorio presenta vaste aree di congiunzione con il mondo ultraterreno e magico, cosicché lo spirito animale si trova ad affiancare l’uomo nei riti e nelle pratiche esoteriche. Pertanto possiamo affermare che l’abbondanza di immagini e simbologie animali testimonia il valore di primo piano da sempre attribuito al daimon animale come presenza misterica propiziatoria o comunque da pacificare attraverso tributi e liturgie.

Il daimon animale come entità negativa può riemergere nell’uomo recuperando o dando voce alle pulsioni più profonde e istintive del suo intimo: di qui il mito della ‘bestia umana’ rinvenibile in buona parte della narrativa del XIX e XX secolo. In queste narrazioni le pulsioni di retaggio animale – quelle sconvenienti – vengono individuate non nel complesso della natura umana ma nella collezione di sentimenti tenuti a freno dalle norme sociali o adempiuti in ambito privato: l’aggressività, la pulsione sessuale, le grandi funzioni fisiologiche.
Nei racconti in genere il daimon animale riemerge per una caduta di razionalità o, più genericamente, di umanità; la trasformazione in animale viene collegata alla vita nei boschi in totale isolamento, all’esposizione ai raggi lunari in una notte di luna piena, alle pratiche di zoorastia, alla morsicatura di una belva feroce, alla follia o a patologie neurologiche quali l’epilessia. Ma ritornando genericamente al concetto di animale come simbolo misterico possiamo dire che ha come punto di partenza l’idea, presente tanto nella tradizione monoteista quanto in quella politeista, che alcune specie abbiano un rapporto di comunione con la divinità: il figlio di Dio è l’agnello, lo Spirito Santo la colomba, il Maligno il serpente, solo per citare gli esempi classici della tradizione cristiana.
Questa comunione nasce e si fonda sul presupposto che il divino, nel bene come nel male, si appalesi prima al mondo animale poi a quello degli uomini. Le qualità misteriche dell’animale, che lo legano indissolubilmente alla sfera del sacro, sono pertanto riconducibili a una sorta di continuità tra ambito divino e animale. In altri termini, l’uomo ritiene che gli animali in genere, e alcune specie in particolare, siano graditi agli dèi: la divinità parla attraverso l’animale, si traveste da animale, elegge l’animale a suo alter ego.

È in questo senso che va letto uno degli utilizzi più frequenti della simbologia misterica dell’animale: il capro espiatorio. Il sacrificio, in genere, è connotato dall’offerta al sovrannaturale di qualcosa di prezioso per l’officiante, ma soprattutto gradito alla divinità. Esistono diverse letture della pratica sacrificale; secondo René Girard, il capro espiatorio ha il compito di prendere su di sé tutte le colpe della comunità – divenendo il colpevole che ha turbato l’ordine naturale e soprannaturale – ma al tempo stesso ha il compito, con la sua morte, di ristabilire tale armonia liberando la comunità dai mali che la affliggono.